
opening: 14th may 2016 h.18.00
Galleria La Linea, via Mazzini 21, Montalcino (SI), Italy
www.gallerialalinea.it
MIRRORED IDENTITY – After Nanjing
“I didn’t know it before, but I’ve always painted Chinese cities.” That’s what Francesco Barbieri told me when his residency at Nanjing University was coming to an end. This insight – an “epiphany” of some sort – not only provides us with privileged access to the works included in this exhibition, but also illuminates Barbieri’s overall artistic evolution. This “maieutic journey,” whereby Barbieri has discovered what was already there, is in effect an important turning point in his career. Since then, he has found a synthesis between his two souls, the graffiti writer and the painter, and discovered his truer and strongest voice.
In his journey so far, Barbieri has followed a trajectory that is as unique and authentic as his results are. By going in the opposite direction of the majority of those also involved in post-graffitism, he refused to capitalize on his “street credit.” He opted for a fresh start and began an artistic trajectory ex-novo. This was not an easy choice: Barbieri had to confront many difficulties in adapting to a new artistic identity, a different context of exhibition, and a change in medium and preferred techniques. And yet, he has found his ways to overcome those difficulties, coming to full circle as an artist.
Through an in-depth study of the Chinese metropolis, Barbieri has explored in real life the world he imagined in his paintings: fast trains cutting like sharp blades through smoky urban territories, where overhead cables hanging from electric poles connect like ghostly hair menacing skyscrapers. But in his production after Nanjing, for the first time, historical buildings also appear: pagodas, temples, and ancient towers peek in and interrupt the post-industrial skyline. We are beyond the dystopia: now, we live in a world that is more complex, where tradition and modernity are in dialogue, light coexists with darkness, and life as nature not only reveals itself within the interstices of the spectral city, but sometimes dominates it.
By walking through the streets of China, Barbieri has faced his own duplicity. In the walls of Nanjing, Beijing, Shanghai, and Wuxi he has seen his own reflection, but did not fall into Narcissus’ trap. Rather than losing himself, he has brought back into the studio his alter-ego. From this uncanny meeting with a familiar “stranger,” he has learned much about himself and his art. His artisticc view has become wider, his style braver, and his pictorial gesture firmer. In his journey through an alien culture and through his different voices, Barbieri has found the fundamental note that harmonizes all the complex and polyphonic melodies simultaneously resonating in his individual personality. Now, his hand can hold a paintbrush as if it were a spray can, and vice versa. As a prophecy of this newly found unity, a calligraphy of his name — though in Chinese and not in the style of graffiti – appears in one of the paintings included in this exhibition. An amphibious creature, Barbieri has discovered that he can breathe on dry land and underwater.
Conceived by a littoral being, his works are forms of expression lying “in between,” joining different domains and spheres: art and life, the studio and the city, the gallery and the street. Barbieri’s works emerge from his dialogue with all these contexts. Such a dialogue exceeds the contemplative or metaphoric dimensions, and becomes material, influencing not only the meaning but also the very constitution of his pieces. Barbieri practices the urban spaces surrounding him, and interact with his fellow travelers. He literally brings back to his studio parts of the city: interstitial elements like cans of house paint abandoned around construction sites or tears of ripped billboards, and nobler components such as fine grained paper or even artworks, which all appear in his production.
Rather than representing accurately a place, which is always imagined and often deconstructed in his works, Barbieri’s paintings symbolize and embody our post- industrial condition. In this sense, we are not looking at mere landscapes seen from afar: we are consulting maps, topographies of our intricate world. This quality clearly appears in the series of the megalopolis, where the sky almost disappears and we found ourselves submerged by the city, as if we were place directly on the grid of its planimetry. When observing these maps, we also see our own reflection: the reflection of individuals in a time of crisis, where no easy path through the city can be found. In Barbieri’s topographical materialism, we find an embodiment of such an inescapable confusion but also a tool, fallible and imperfect, for orienting oneself in the convoluted bundles of crossroads that is our daily life.
Andrea Baldini
IDENTITA’ RIFLESSA – Dopo Nanjing
“Non lo sapevo, ma ho sempre dipinto città cinesi.” Così mi ha detto Francesco Barbieri quando la sua residenza artistica alla Nanjing University stava volgendo al termine.
Quest’intuizione – una sorta di “epifania” – non ci offre solamente una chiave di lettura delle opere che fanno parte di questa mostra, ma ci aiuta a comprendere l’evoluzione artistica di Barbieri in senso più generale.
Questo “viaggio maieutico,” grazie al quale Barbieri ha scoperto inaspettatamente quel che già era, segna un punto di svolta nella sua carriera: da quel momento, è riuscito a trovare una sintesi più compiuta tra le sue due anime – il writer e il pittore – riconoscendo allo stesso tempo la sua voce più forte ed autentica.
Il percorso che Barbieri ha intrapreso finora segue una traiettoria tanto unica e sincera quanto lo sono le sue opere.
Andando in direzione ostinata e contraria rispetto alla maggioranza di quelli che come lui si trovano all’interno di quel contenitore che è il post-graffitismo, Barbieri ha preferito non trarre vantaggio dalla sua fama come writer, ripartendo da zero con una traiettoria artistica completamente nuova.
Questa non è certo stata una scelta semplice: Barbieri si è dovuto confrontare con molti ostacoli che gli si sono posti davanti nel processo di adattamento alla sua nuova identità artistica, ad un diverso contesto di esposizione, a un cambiamento di medium e tecniche.
Tuttavia, è riuscito a superare brillantemente quelle difficoltà, chiudendo il cerchio di questa parte della sua carriera e raggiungendo una piena maturità come artista.
Attraverso lo studio approfondito della metropoli cinese, Barbieri ha in realtà toccato con mano il mondo che prima aveva solo immaginato nei suoi dipinti: treni che sfrecciano veloci tagliando come lame affilate territori urbani indefiniti e fumosi, dove cavi elettrici che pendono da pali della luce e somigliano a capelli spettrali, uniscono i profili minacciosi di grattacieli spaventosi.
A dire il vero, però, nelle opere che Barbieri ha realizzato dopo il suo ritorno da Nanchino, appaiono per la prima volta anche edifici storici: templi, pagode e torri antiche si affacciano, interrompendo la skyline postindustriale. Siamo al di là della distopia: ci troviamo ora in un mondo più complesso, dove tradizione e modernità sono in dialogo, luce e oscurità coesistono, e la natura non solo appare tra gli interstizi della città spettrale, ma a volte anche la domina.
Camminando per le strade della Cina, Barbieri ha affrontato la sua duplicità: sui muri di Nanchino, Pechino, Shanghai e Wuxi ha visto il suo stesso riflesso, senza però cadere nella trappola di Narciso.
Anziché perdersi nella sua immagine, ha portato indietro nel suo studio il suo alter-ego.
Da questo strano incontro con uno “sconosciuto” che gli era tanto familiare, ha imparato molto di sé e della sua arte.
La sua visione artistica è divenuta più ampia, il suo stile più coraggioso, ed il suo gesto pittorico più fermo e deciso.
Viaggiando attraverso una cultura aliena ed attraverso le molte voci interiori, Barbieri ha trovato quella nota fondamentale che è in grado di armonizzare tutte quelle melodie complesse e polifoniche, che risuonano contemporaneamente all’interno della sua personalità individuale.
Adesso, la sua mano può reggere un pennello come se fosse una bomboletta spray e vice versa.
Come una profezia di questa nuova unità appena raggiunta, una calligrafia del suo nome – (弗朗切斯科 – fú lǎng qiè sī kē) e non nello stile dei graffiti – appare in uno dei dipinti in mostra, dal titolo Black Bright Cut.
Da vera creatura anfibia, Barbieri ha scoperto di poter respirare sia sott’acqua che sulla terra ferma.
Concepite così da una creatura di confine, le sue opere sono forme di espressione che si trovano “a metà.”
Grazie alla loro posizione, sono in grado di congiungere domini e sfere differenti: l’arte e la vita, lo studio e la città, la galleria e la strada.
Le opere di Barbieri nascono dal suo dialogo con questi contesti così disparati. Quel dialogo va al di là della dimensione puramente metaforica o contemplativa, ma diventa tangibile, ed in questo senso influenza non solo il significato, ma anche la stessa realizzazione dei suoi quadri.
Barbieri pratica gli spazi urbani che lo circondano, interagendo con gli avventori che, come lui, attraversano quei luoghi. Porta letteralmente con sé nel suo studio parti della città: elementi interstiziali come barattoli di vernice abbandonati fuori da un cantiere, o frammenti di un cartellone strappato, oppure componenti più nobili come carte dalla grana pregiata o persino opere d’arte, e tutti questi elementi entrano a far parte della sua produzione.
Piuttosto che rappresentare accuratamente località precise – che sono sempre immaginate e decostruite nelle sue opere – i dipinti di Barbieri sono un simbolo e un’incarnazione della condizione post-industriale in cui viviamo.
In questo senso, non stiamo guardando semplici paesaggi visti da un qualche punto lontano: stiamo consultando mappe, topografie del nostro mondo intricato.
Questa qualità dell’opera di Barbieri appare chiaramente nella serie delle megalopoli, dove il cielo quasi scompare e ci troviamo come sommersi da queste città, come se qualcuno ci avesse trasportato direttamente su una planimetria.
Quando osserviamo queste mappe, anche noi vediamo il nostro riflesso: il riflesso di chi vive in un tempo di crisi, dove non è possibile trovare un percorso facile attraverso la città.
Nel materialismo topografico di Barbieri, troviamo l’incarnazione di quell’ineluttabile caos, ma anche un mezzo, seppur fallibile ed imperfetto, per orientarci in quel groviglio tortuoso di incroci che è la nostra vita quotidiana.
Andrea Baldini